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venerdì 23 novembre 2012

In risposta al post di Pier Giorgio Rauzi.

Di Elena Galvani e Jacopo Laurino

Gentilissimo Professor Rauzi,
grazie per il suo post. Grazie per il tempo dedicatoci, per l’attenzione con cui ha letto il copione che Giacomo Sartori ha tratto assieme a noi dal suo romazo omonimo. Grazie per l’acutezza della sua analisi.
Di seguito alcuni pensieri sparsi, stimolati dalle sue riflessioni.

Tutto è male. Non c’è dubbio, Sacrificio è una tragedia, ed è dominata da quella che Nemi D’Agostino chiama la “visione tragica”, ossia l’intuizione del lato più oscuro della vita, della realtà, dell’uomo. Dunque niente risposte, soluzioni o messaggi, ma domande. Sguardo lucido e coraggioso, capace di sondare l’arido vero. Secondo noi, niente che abbia a che vedere col cinismo o con una compiaciuta spietatezza di analisi. Al contrario analisi sofferta, senza sconti ma con profonda pietà umana. E forse basta questo a rendere ogni vera tragedia un atto di amore costruttivo, senza tirare in campo la Poetica di Aristotele, con la sua esigenza fuorviante di razionalizzare l’irrazionale, o meglio di trovare un intento educativo e morale nell’opera tragica che in realtà non lo prevede.

martedì 20 novembre 2012

Che questo "Sacrificio" faccia da sveglia

Di Pier Giorgio Rauzi
Considerazioni dopo aver letto il copione di Sacrificio.

Ho letto con attenzione e interesse il manoscritto. Non sono un esperto di teatro e delle sue evoluzioni contemporanee e non riesco pertanto a immaginare come avverranno i mutamenti di scena che dallo scritto mi richiamano piuttosto una sceneggiatura di tipo cinematografico. Sono curioso pertanto di vederne la messa in scena. 
Nel merito il lavoro mi sembra rovesciare molti luoghi comuni collaudati della letteratura e della morale. Anzitutto quello antico che suona: “Bonum ex integra causa, malum ex quacumque defectu”, basta anche un piccolo difetto per trasformare il bene in male. Qui, nella vicenda che state proponendo, si ha l’impressione che il male è talmente pervasivo da non lasciare spazio al bene nemmeno in minima parte. Non lascia intravedere nessun elemento catartico collegato al sacrificio, in quanto la/le vittima/e non è (sono) tanto il/i più buono/i che accetta(no) consapevolmente e volontariamente il sacrificio quanto piuttosto quello/i che si ostinano a non aprire gli occhi di fronte alla realtà che pure sembra evidente. Mi è venuta in mente la mia nonna quando diceva che “no gh’è pù orbo de quel che no vol veder”.