mercoledì 5 settembre 2012

Variazione sul tema

Considerazioni di una candidata attrice
Di Alessia Dorigoni

" Entro nel libro... Spunf. Mi ritrovo in un mondo che odora, odora di storie vissute: un caffè lasciato sul tavolo è già stato in parte bevuto, ci sono delle orme per terra, un naso da clown e il pane imburrato è stato già addentato. E’ tutto bagnato per terra. Una strana luce si infrange sui vetri della finestra, devia in uno strano modo. Tutto però è immobile e maestosamente incelofanato e ovattato.  E' un mondo che stride, il meccanismo di un ingranaggio che non funziona con le solite regole: out of balance. La situazione mi avvolge, l’anisotropia dello spazio esterno sembra che per osmosi si prenda gioco di me e mi faccia muovere molto lentamente. Mi accorgo di questo, dipendere dall’esterno mi infastidisce e quindi decido di fermarmi, sì, mi blocco, mi immobilizzo…sok: il legno però è sempre legno… Sgrieeek e il caffè odora sempre di caffè. Un mondo che odora di mondo…snif!. Il Barone di Münchhausen che salva se stesso e il proprio cavallo dallo sprofondare in una palude tenendosi sollevato per il suo stesso codino. Non capisco cosa c’è di strano ma sento che c’è qualcosa di strano, eccentrico, bizzarro, strampalato, diverso, stravagante, strambo, astruso, bislacco, originale, curioso, particolare, singolare, insolito e diverso dal solito, fuori del comune, sorprendente, inspiegabile, inverosimile, incomprensibile, misterioso, ambiguo, equivoco, sospetto…sbrang.
Entra di corsa Blanco…Russssh, salta sul tavolo, punta il braccio verso l’alto e fissando il suo indice irrigidito, con parole lapidarie annuncia: "detto in altre parole, vista con il pensiero e la logica, la base della logica e del pensiero non ha, essa stessa, una base logica perché in logica non si può impiegare come base o fondamento del principio dei concetti che sono espressione o conseguenze dell’applicazione del principio... Dunque se guardiamo con il pensiero (e non possiamo guardare che con il pensiero) all’interno delle basi del pensiero e della verità, ci troviamo con qualcosa che, vista con il pensiero, ci sembra essere un vuoto assoluto insondabile, che ci risucchia verso qualcosa che è alieno al pensiero”. Ecco cosa mi mancava! Non mi veniva la parola: un epifenomeno! Ma certo, ora tutto è chiaro. Allora dicevamo: entro nel libro e…Splash! Qualcosa è caduto nel caffè! Ma è possibile che debba essere un racconto il mio così “out of balance” e pieno di Skreeee? Esce una testa, tutta barba baffi, occhialetti tondi e lingua blu che ansimando dice: “Ma come possiamo arrivare a conoscere l’inconscio? Naturalmente lo conosciamo soltanto in una forma conscia dopo che ha subito una trasformazione o traduzione in qualcosa di conscio!”…Sdeng! Dispongo gentilmente il piattino della tazzina sulla testa umidiccia e bianca dell’uomo. Dicevamo: entro nel libro! L’atmosfera è quella che fa del concreto localisticamente identificato nient’altro che un espediente per andare a scrutare un territorio che è la “diversa copia” della realtà dove è possibile gioire della mutevolezza e della capacità di attualizzare quelle che, altrimenti, resterebbero visioni relegate ad un episodico, ma necessario, isolamento del mondo. Mumble… Forme di comunicazione paradossali eppur possibili: non più buonismi e ricalchi della realtà stessa. Ma ecco che la mia attenzione da mentalmente impegnata a ripensare a Big Fish e al Barone di Münchhausen  viene magneticamente attirata visivamente da un libro. Mmmm un libro nel libro, ma certo, geniale! “Giorgio Melchiori spiega il Re Lear di Shakespeare”. Non potevo trovare di meglio, un libro che si autospiega, per far luce su tutta questa situazione. “Straordinaria è stata la capacità di Shakespeare di organizzare un discorso teatrale estremamente articolato e insieme unitario attingendo ai materiali accumulati da tutta una tradizione narrativa, così da creare una nuova struttura autonoma sia dal punto di vista formale che da quello dei contenuti poetici e ideologici.” I miei occhi sembrano aver preimpostato una velocità di scorrimento delle parole come se avessero letto già quel racconto soffermandosi in maniera premurosa su quanto segue: ”Vi sono degli elementi narrativi che non figurano nelle fonti.” (Historia Regum Britanniae, The Mirror for Magistrates, The Faerie Queene, The Second Book of the Historie of England, The True Chronicle Historie of King Leir…)”Quello più evidente è la pazzia di Lear, che coincide con la tempesta e lo sconvolgimento della natura-elemento che domina tutta la parte centrale del dramma. Il temporale era presente marginalmente nel dramma di Leir, in funzione di ammonimento celeste a un sicario; ora diviene proiezione a livello cosmico della follia umana di Lear, e d’altra parte tale follia è a sua volta manifestazione di quello sconvolgimento; Shakespeare non vuole rappresentare un momento, una fase di turbamento dell’ordine tradizionale accettato ma piuttosto chiamarlo in causa, mostrarne le contraddizioni interne, l’ambiguità e l’inconsistenza, senza proporre soluzioni di ricambio e senza volerne un ingannevole continuazione. E, come è naturale per Shakespeare, tale ambiguità si manifesta in primo luogo sul piano verbale, come ad esempio attraverso l’accanita esplorazione della polisemia contraddittoria di una parola come “Nature” e dei suoi derivati che ricorre ben quarantotto volte nel dramma. Il re Lear come immensa metafora che è la storia di Lear, allo stesso modo che la tempesta è contemporaneamente referente e metafora della follia di Lear, follia che a sua volta è metafora della condizione umana, e della condizione dell’universo. King Lear è strutturato dunque come una catena o una scatola cinese di metafore” che si basano su fonti alle quali attinse come mezzi, come fantocci per spiegare dell’altro. Lascio cadere violentemente il libro, ponf, prendo una penna e scrivo su un post it “Il Fool: la pazzia di Lear, e cioè la sua saggezza, figurazione concreta, metafora incarnata della coscienza e consapevolezza della propria cecità e della propria follia, come rimorso e come illuminazione. A noi spetta gravarci del peso di questo triste tempo, dir quel che si prova e non quel che si deve.” 

Ok, detto ciò iniziamo a parlare in modo capibile e ristabiliamo una connessione tra me e voi perché la sensazione se no è quella di camminare su un terreno strano che non sappiamo che comportamenti abbia. Con questo racconto ho voluto far vivere le sensazioni che ho vissuto io leggendo il Re Lear, o maggiormente guardando la versione del 1972 con la regia di Giorgio Strehler che a parer mio è riuscito a rendere al meglio questo dimensione che non ricalca completamente la realtà creando così un mondo che sembra quasi velato dall’immaginazione, un po’ come l’inconscio o i sogni dove il mondo è reale ma le dinamiche sembrano essere diverse da quelle che regolano la “realtà reale”. Ho fatto ciò come pausa simpatica nella scrittura della mia tesi (la prossima settimana mi laureo!!!) cercando di avvolgere chi ha letto questo breve racconto utilizzando anche delle onomatopee tipiche dei fumetti per rendere l’utilizzo di tutti i sensi affinché si immaginasse lui stesso nella scena. Tutto un po’ strano e, se non avete capito molto, o meglio avete capito in parte e il resto ha toccato solo alcune delle corde della comprensione facendovi intuire delle cose e odorando di altre, ho raggiunto il mio scopo perché è la stessa sensazione che ho provato io nel guardare l’ammirevole regia di Strehler e la capacità di Shakespeare di farci sfiorare delle cose che credevamo di aver ampiamente perlustrato lasciandoci attoniti e a bocca aperta davanti ad una visione della realtà vista da un altro punto di vista.

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