martedì 18 dicembre 2012

In risposta alla lettera di Giacomo Sartori

Di Alessia Dorigoni

Mi capita spesso di partecipare ad inaugurazioni di mostre in campo artistico e ciò che trovo è con mia amara ammissione lo stesso clima che viene descritto da lei ma lontano da lei e purtroppo lontano anche da me. Dico purtroppo perché sembra che oggigiorno se i pittori non sono anche dei venditori di ghiaccio al polo nord non possono fare strada. Gli viene quindi richiesto "questo lavorio di dissezione, questa autopsia di un cadavere già freddo", di un quadro che molto spesso nasce come risultato di una visione sistemica di molte cose studiate, lette, sbecchettate in giro e naturalmente nato da una rielaborazione personale. Cercare di avere la presunzione di spiegare la complessità di tutti questi fattori risulta quasi un ossimoro; un lavoro direi quasi senza senso e perchè altamente personale e perchè nemmeno noi stessi sappiamo quali sono le relazioni di causa/effetto all'interno di tutto questo mare di variabili, emergendo i nostri manifesti limiti di riuscire a tenerle in considerazione contemporaneamente. 
Viene richiesto al pittore il perché di quel quadro e la domanda che odio maggiormente sui miei quadri: "cosa significa?". Non mi presento più alle inaugurazioni delle mie mostre ormai da tempo. Non sono capace di speculare su queste conversazioni per me prive di senso e aggiungerei quasi da sala da attesa di un coiffeur di lusso, poiché potrei dire una cosa, ma potrei tranquillamente dirne un'altra, perché realmente non so, né perché ho fatto proprio quel quadro e né perché il personaggio nel quadro ha il braccio proprio in quella posizione piuttosto che in altra o la palpebra leggermente abbassata. Queste introspezioni psicoanalitiche le lascio agli oroscopi e il pubblico da me non può pretendere certe cose. "Sento che non è il mio terreno, che non è lì che posso dare il meglio di me stesso, che anzi è lì che vengono alla luce i miei manifesti limiti.(...) non mi interessa dissezionare, diagnosticare". Non parlo di demone in corpo o di sacro fuoco dell'arte perché anche quello sarebbe dare una definizione (e dare una definizione non vera visto che rivendico il ruolo dell'artista scienziato e ricercatore così come è stato quello rinascimentale che non si chiamava ricercatore o percettologo ma faceva comunque ricerca sui problemi e che soprattutto non era artista per avere genio e sregolatezza). Detto ciò, affinché la mia posizione risultasse chiara, ritengo che il fatto di ricercare dei perché di certe azioni, di certi toni, di certe frasi non sia una ricerca edonistica fine a se stessa per dare significati alla produzione letteraria. Non è un intrattenimento nel disseppellire cose e dare cere di vari toni ma una necessaria ricerca affinché dei ragazzi inesperti riescano ad "entrare nel personaggio" a dire ciò che c'è da dire in maniera coerente e credibile ad una delle innumerevoli e direi infinite Marte che si possono descrivere, così come Dieghi, Anne (tutto è finto e niente è falso)... Come dice lei a ricercare e studiare come nel " fragoroso vuoto di senso pulsino le impalpabili verità che possono dare significato alla nostra esistenza". Come ho scritto in merito al seminario con il maestro Osvaldo Salvi, "vivere la scena, sentirla, immaginarla. Deve venir espressa una sintesi del personaggio e a sua volta ciò che dice è una sintesi di una miriade di variabili che lo hanno portato a dire proprio quella cosa, proprio in quel momento e proprio in quel modo. “Ogni dramma inventato riflette un dramma che non s’inventa.” Francois Mauriac. Devo dire che inizialmente mi facevano sorridere tutti i miei compagni che passavano ore a discutere su quali fossero le emozioni dei personaggi prima di dire quella determinata cosa o le posizioni giuste da adottare... nulla di giusto, solo cercare una linea coerente da seguire per quel personaggio affinché non sembri una burla della realtà, una brutta copia della realtà. Come se avessimo dei mondi paralleli nei quali i personaggi sono sempre gli stessi ma spinti da forze diverse che li rendono sfaccettature diverse della stessa persona. Per poter salire sul palco ed essere credibili descrivendone una di loro, dobbiamo parlare di meccanismi interni al personaggio consapevoli del fatto che non parliamo della verità assoluta e consapevoli della complessità e della necessità di una visione sistemica. Le scrivo perché, come spesso accade, scrivendo mi chiarisco le idee e ho cercato di rassicurarmi che non è necessario mentre faccio un quadro che abbia presente tutti i meccanismi interni perché la lucidità mi ha portato molto spesso a fare le cose per gli altri, per vendere, ottenendo risultati non molto buoni. Può uscirmi come se stesse aspettando da anni nell'Iperuranio e, una volta uscito, se le persone vogliono fare i viaggi mentali parlando delle varie ipotesi che da esso possono nascere, li lascio fare, non partecipando al gioco ma stando a casa a leggere per fantasticare nell'iniziarne un altro. Per recitare, però, questo sforzo devi richiederlo anche a me perché se no sembrerò sempre una parodia della realtà.
Già il giorno dopo che ho fatto un quadro non mi sembra di esserne io l'autore. Ho iniziato a viverla meglio pensando che non è giusto o sbagliato. Ringraziandola per le sue riflessioni spero di averla un minimo rassicurata, anche se non sono nessuno per farlo, che non è poi così sbagliato che i testi che ha scritto non le appartengono. 

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